UMBERTO

 

 

  

Prologo

   Narra la leggenda, che il piccolo Umberto allungò la manina ma, anziché prendere il biberon afferrò un soldatino in 54 mm di gomma (probabilmente un volontario del 45° New York infantry) e se lo cacciò in bocca per grattarsi le gengive.

“Cominciamo bene!” sentenziò la madre.

 

Tarda primavera del 1963

   Kennedy ha lanciato la “Nuova frontiera” e Umberto, al di qua dell’Atlantico, per i suoi otto anni riceve in regalo le prime due scatole di soldatini Airfix in 20 mm (fanteria tedesca e Marines). E’ la sua “Nuova Frontiera”.

 Congedati rapidamente i gloriosi reparti in 54 mm di gomma, pasta e carta, ben presto Umberto, con l’uscita dei napoleonici, diventa uno dei migliori marescialli di Napoleone, fornendo al suo imperatore in anni di indiscussa fedeltà oltre 3500 soldatini dipinti. L’epopea napoleonica si svolge secondo le regole di Bruce Quarrie, vale a dire, una vera epopea di tempo per ogni battaglia, con relative discussioni familiari sull’occupazione militare della sala, luogo riservato in tutte le famiglie normali agli ospiti e non alle devastazioni della guerra.

 

Fine secondo millennio

   Umberto scopre alla Spezia altri tre sacerdoti del Wargame, Andrea, Federico e Luca e in contemporanea la rivista “Dadi e Piombo”. Inizia così l’attuale età dell’oro, che sfocerà di lì a poco, grazie all’entrata nel gruppo di Roberto, nella creazione del WASP.

Attualmente Umberto, ormai non più giovane, o almeno non tanto giovane quanto gli piacerebbe, temendo in agguato il rimbambimento senile, lavora febbrilmente al Risorgimento e alla Grande Guerra, curando in particolare il fronte italo-austriaco.

Pervicacemente, con l’aiuto dei fratelli di plastica (e piombo) del WASP, tenta di sottrarre alle sirene televisive e playstationistiche, le nuove generazioni, mediante laboratori di wargame tenuti nella scuola, dove, soldatini permettendo, lavora da venticinque anni.

E’ la stampella lanciata da Enrico Toti nella lontana estate del ’16 verso le soverchianti forze austro-ungariche?

Staremo a vedere.

 

 

Le trincee sul San Michele